16 agosto 2009

John Duigan: "Gioco di donna"

In Gioco di donna (2004) di John Duigan, il protagonista, l’irlandese Guy Malyon (Stuart Townsend), racconta la propria storia d’amore con una ricca ragazza franco-americana, Gilda Bessé (Charlize Theron), secondo un modello che trova una sua perfezione formale in Addio alle armi (1929) di Ernest Hemingway. A differenza di Angeli perduti (1995) di Wong Kar-Wai, qui il protagonista esce dalla vicenda ancora vivo, come ci si aspetterebbe in questo tipo di narrazione. E anche qui, come nel romanzo di Hemingway, la vicenda d’amore si intreccia alla guerra, che è motivo di separazione e di ritrovamento della donna amata.

Il titolo originale del film suona 'La testa fra le nuvole' (Head in the Clouds), senza alcuna allusione ai 'giochi di donna' di Gilda, che di fatto non hanno nulla di vanesio: attraverso la propria carne, la danza, il cinema, la fotografia, l’arte ecc., Gilda enuncia continuamente il Vangelo della vita mondana e caccia dal tempio dell’amore con la verga la bestia sadica che ha profanato il corpo dell’amata Mia (Penélope Cruz). Fin da ragazzina la protagonista mostra una spiccata capacità interpretativa dei comportamenti umani e un dominio psicologico sugli altri.


Il tema portante del film è la predestinazione dell’evento doloroso cui Gilda è destinata al trentaquattresimo anno d’età, annunziatole dalla chiromante. La data coinciderà con l’uccisione dell’eroina quale collabo amante di un ufficiale nazista (era invece una spia antinazista), ma, anche, con il D-Day, che, secondo un’ottica occidentale, costituisce, con lo sbarco in Normandia, la resurrezione della libertà dall’impero del male hitleriano, di cui Gilda, innocente, è il capro espiatorio.

La giovane cerca di godere la vita con intensità e spregiudicatezza in vista di quel giorno, senza festeggiare i propri compleanni: è uno spirito libero, maestra di vita, che, accettato il dolore futuro come una sorta di Cristo su cui peseranno i peccati del mondo (il nazi-fascismo), non vive la nostalgia e la paura del dolore, ma solo il dramma dell’imminente sacrificio; al tempo stesso, di lei non vediamo l’intimità, ma la ricostruzione esterna che ne fa il narratore, amante e amico Guy. Theron assume le vesti di una donna Cristo, evitando di incarnare l’iconografia della Madonna.

La predestinazione sottende la storia, quindi la guerra civile spagnola e la seconda guerra mondiale sarebbero necessarie né più e né meno dei «geni malati» di Gilda, che contengono la follia del padre libertino e della madre suicida. Un film non è un’opera di filosofia, né si conclude con la stesura del soggetto. Visto che la colonna portante del film è la predestinazione di Gilda, andava costruito un mondo di immagini, un intreccio avvolgente, un’esemplificazione di episodi che ce la illustrassero nella vita reale (di cui il film si fa figura).

Sotto questo profilo, la sceneggiatura di Gioco di donna è arenata allo stato di bozza di un lavoro che richiedeva maggiori sforzi di ricerca e di sintesi, e la predestinazione costituisce una zeppa della storia d’amore.

Con un primo tempo ambientato tra Francia e Inghilterra, e un secondo tempo in cui si aggiunge l’episodio spagnolo, in un arco sequenziale che va dagli anni venti al 1945, il film avrebbe avuto modo e luoghi per sviluppare le proprie tesi, se non fosse stato meramente pretenzioso, al punto da diventare un polpettone generico. La vita universitaria di Cambridge non è diversa dalle tante situazioni collegiali statunitensi, la Parigi bohémienne sembra piuttosto la New York di Andy Warhol, la guerra civile spagnola e la liberazione di Parigi non si vede che abbiano di diverso da altre guerre novecentesche.

I temi della prima parte del film non sono sviluppati esteticamente nella seconda, che sembra l’inizio di un film di guerra. Le ambientazioni soffrono di una mancanza di carattere, per cui non si avverte nulla di ginnico nella palestra dove Guy si esercita alla boxe: la scena potrebbe essere girata in qualsiasi altra situazione. Lo stesso dicasi per altre scene del film, che non sono in grado di restituirci l’aura ambientale.

Il personaggio di Guy, benché costituisca l’io narrante, non presenta un’adeguata introspezione psicologica. Di fatto, assumendo la figura dell’evangelista che testimonia della vita di Gilda, Townsend avrebbe dovuto farsi carico dell’espressività necessaria per far capire come Gilda agisca sullo spirito di Guy. Anche Penélope Cruz ha poco spessore, e pare uscita da una telenovela.

Meglio Theron, che esprime un ampio e articolato ventaglio di sentimenti, dall’allegrezza allo stupore, dal torpore meditativo alla rabbia, dall’attrazione alla ripulsa, dall’amore all’odio, dal piacere al dolore, dall’amarezza all’esaltazione. Le azioni di Gilda vengono giustificate da sfaccettature dell’espressività che informano della giusta ambiguità i suoi sentimenti per Guy, che non è in grado di capirla allo stesso modo in cui lei capisce lui. Al punto che Theron suscita rare punte d’emozione, benché sia assistita più dalla truccatrice Shane Paish e dal fotografo Paul Sarossy che non dalla sceneggiatura di John Duigan, abile, quest’ultimo, nel proporre battute serrate, ma meno efficace nell’economia simbolica del film. Basti pensare a quante età, situazioni psicologiche e look sono assunti da Gilda, per rendersi conto delle difficoltà di mantenere unitario il personaggio.

Nel suo complesso, Gioco di donna è poco entusiasmante, a parte la fotografia di Sarossy e la recitazione di Charlize Theron, chiamata, nel secondo tempo, ad alcune scene drammatiche in cui il volto gioviale dell’attrice assume una maschera di sofferenza, tormento e dolore che evoca le prove più difficili del dramma shakespeariano, senza averne sulle labbra il testo.

[pubblicato su Notizie in... Controluce, n. XIV/8, agosto 2005, p. 20.]

 

 

 

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